La pittura del XV e XVI secolo
Pur aspirando agli ideali dell'epoca classica non ne assume l'austerità cromatica, al contrario testimonia un piacere ricavato dalla ricchezza del colore puro e splendente, che non si sarebbe rinnovato fino al XX secolo quando i pittori fecero del colore il soggetto dell'arte.
Per l'artista del rinascimento privo ormai delle certezze teologiche del Medioevo, non era più sufficiente presentare campi piatti di pigmenti costosi come offerta devota a Dio; la nuova parola d'ordine era "fedeltà alla natura". I pittori si sforzavano di raffigurare il mondo come appare veramente all'occhio. La chimica portava progressi lenti e graduali rispetto alle innovazioni che si svilupparono nelle arti e nelle scienze umane.
Fin dai tempi di Giotto, capostipite della scuola fiorentina, si era verificata una crescente rivalutazione dei nobili principi del classicismo. Giotto capovolse l'ortodossia artistica medioevale: tentò di mostrare oggetti in rilievo con luci e ombre derivanti da una fonte di illuminazione individuabile.
Questo emergere di luci e ombre come caratteristiche del paesaggio dipinto è uno degli aspetti distintivi dell'arte rinascimentale. Le persone e gli oggetti possedevano un ombra. E' come se il mondo immaginario di Giotto all'improvviso acquistasse vita.
Il Rinascimento è più dell'introduzione di una tecnica per dipingere a tre dimensioni: l'approccio giottesco è sintomo di un profondo cambiamento nella visione filosofica che informava tutte le aree del sapere in Occidente.
L'esperienza reale è messa in luce rispetto alle verità trascendenti della teologia: le scene religiose contengono persone dall'aspetto realistico e appaiono come colte in un istante di vita quotidiana.
Il naturalismo di Giotto fa del tempo una componente della pittura: l'immagine non è più un simbolo immutabile, ma viene fissata alla fuggevolezza dell'attimo. Al tempo stesso il naturalismo poneva una nuova sfida poiché non esistono leggi che impongano alla natura di disporre armoniosamente colori e oggetti come sarebbe necessario all'artista per una composizione gradevole. In natura l'aspetto di una scena dipende dall'illuminazione ambientale e si ha un'infinita varietà di forme e colori.
Oltre alla dimensione del tempo l'artista rinascimentale arrivò anche alla esatta collocazione degli oggetti nello spazio. L'avvento della prospettiva lineare, introdotta dall'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi (1377 - 1446), fu il corollario essenziale all'introduzione di luce e ombra. Brunelleschi ricavò le leggi matematiche che permisero agli artisti di determinare in che misura la dimensione diminuisce con la distanza. Le sue scoperte furono accolte con entusiasmo dal pittore fiorentino Masaccio (1401 - 1428).
Implicita vi era la consapevolezza che l'artista dovesse studiare la natura 'scientificamente': per disegnare con fedeltà la figura umana il pittore doveva possedere una buona conoscenza dell'anatomia. Nel suo libro La Pittura (1435) l'architetto fiorentino Leon Battista Alberti (1406-72), sottolinea che il pittore deve soprattutto cercare la bellezza, una proprietà quasi quantificabile. L'enfasi dell'armonia delle proporzioni è caratteristica della visione fiorentina, per questi artisti la capacità di disegnare bene era più importante della resa del colore. Evidenziare i rapporti di geometria e matematica delle forme era funzionale anche alla nuova necessità che l'artista rinascimentale aveva di separarsi dagli artigiani e di elevare la propria attività dalle arti meccaniche a quelle liberali.
Alberti discute le giustapposizioni di colore, come accostare un campo colorato vicino ad un altro e tradisce nelle nelle sue riflessioni una preoccupazione costante per l'integrità del pigmento puro. Al centro della discussione dell'Alberti sul colore si trova come organizzare il colore e mentre per Cennini, come per Giotto, l'ombreggiatura doveva essere rappresentata con il colore alla massima saturazione, Alberti sosteneva che per le ombre si dovesse aggiungere il nero.
La distinzione tra disegno e colore e il dibattito sulla loro reciproca importanza divennero un tema importante nell'arte rinascimentale. Si afferma in genere che a Firenze prevalesse il disegno mentre nell'opulenta Venezia il colore.
Gli alchimisti medioevali suggerivano che per trovare la pietra filosofale fonte di conoscenza sul piano
spirituale e di ricchezza su quello materiale, era necessario andare al centro della terra e avevano sintetizzato
questo precetto nell'acronimo VITRIOL, che è formato con le iniziali della frase Visita Interiora Tellus
Rectificando Invenies Occultum Lapidem. Naturalmente, a meno di credere che gli alchimisti fossero anche dei
geologi dilettanti, il suggerimento è di tipo spirituale: bisogna abbassarsi il più possibile,
fin quasi a distruggersi, per poter poi assurgere alle vette della conoscenza .
Eredità artistica dell'Alchimia e la Pittura Medievale
Le origini dell'alchimia, l'antenata della chimica, si trovano nella prassi dei mestieri antichi e il suo influsso sull'arte non si manifesta solo come simbolismo occulto. E' l'arte della trasformazione: permetteva agli sperimentatori di comprendere i cambiamenti che le azioni di fuoco, aria, vapori e tempo apportavano ai materiali. Poiché questi cambiamenti erano accompagnati da alterazioni del colore ne consegue che l'applicazione pratica dell'alchimia diventasse il mezzo per fornire colori artificiali agli artisti. Cennino Cennini, nel suo Libro dell'arte (1390 ca.) fa spesso riferimento alla preparazione di pigmenti tramite l'alchimia.
Alchimista poteva avere diversi significati. I pittori medievali compravano i propri materiali da speziali e apotecari, artigiani che quasi sempre producevano personalmente i pigmenti, una categoria distinta dai fanatici della pietra filosofale, i quali cercavano i segreti esoterici per la trasmutazione del piombo in oro.
Il colore è stato molto importante durante il medioevo per la chimica: si riteneva che il colore di una sostanza fosse la manifestazione esteriore delle sue proprietà intrinseche.
La stessa pietra filosofale era chiamata anche Tintura.
Un esempio è il processo di produzione artificiale del rosso Vermiglione, il principe medioevale dei rossi, descritto da Teofilo, monaco benedettino del XII secolo, nel suo manuale tecnico Schedula diversarum artium (Taccuino delle varie arti, 1122ca.) in cui racconta la sintesi alchemica tra zolfo e mercurio.
L'alchimia attribuisce al rosso un significato speciale in quanto è il colore dell'oro (che era più bello quanto più era rosso) e simboleggia inoltre i culmine della Grande Opera, la creazione della pietra filosofale.
Il piombo che pare esercitasse sugli alchimisti una particolare attrattiva può assumere un aspetto nero, bianco, giallo, o rosso, grazie a trasformazioni chimiche che si presentano in presenza di calore.
Agli inizi del Medioevo erano molto diffusi i manuali tecnici chiamati ambiguamente Libri di segreti la cui importanza andò scemando quando la pratica della pittura passò dai monasteri alle città, dove fu svolta da professionisti laici.
Tipica produzione grafico-pittorica del Medioevo era la miniatura: arte di decorare e illustrare manoscritti. Il termine deriva dal latino minium, il pigmento rosso-arancione usato appunto per delineare le iniziali dei manoscritti; era ricavato dalla biacca (pigmento bianco derivato dal piombo) per riscaldamento, oppure dall'ossido di piombo. I pigmenti erano legati con colla di origine animale o albume d'uovo. Il supporto tradizionale della pittura era la pergamena: pelle di vitello, capra, pecora e cervo, seccate tese e raschiate fino a ottenere una superficie perfettamente liscia, ma per lo più i dipinti di grande dimensione giunti fino a noi erano eseguiti su tavole di legno: il legno veniva prima ricoperto di colla e poi da vari strati di stucco a base di gesso e colla, lo stucco più fine era per le parti a intaglio. La preparazione e l'applicazione dello stucco erano un compito noioso e perciò affidato agli apprendisti. La pittura su questo tipo di supporto era stesa a tempera tecnica per cui il legante principale con cui venivano agglutinati i pigmenti era il tuorlo d'uovo.
Anche la pittura parietale era largamente usata nel medioevo, sia nelle chiese che negli edifici pubblici e nei palazzi privati con la tecnica dell'affresco. La pittura a fresco produceva risultati duraturi, purché la parete non fosse soggetta
ad umidità.
L'oltremare, il vermiglione e l'oro furono la gloria della tavolozza medioevale.
Il pittore degli inizi del Medioevo era in genere un anonimo monaco, il cui compito era illustrare le storie dei Vangeli, in modo da suscitare devozione e pietà; la pittura era schematica, addirittura di maniera.
Nel tardo Medioevo, la bellezza e l'ostentazione di ricchezza divennero importanti nell'arte religiosa ma ciò non implicava la necessità di naturalismo; al contrario, nacque il desiderio di esibire i pigmenti più costosi e magnifici, in campi di colore piatti e uniformi, come atto di devozione a Dio. L'abilità non consisteva nel creare raffinate sfumature, ma nel sistemare sulla scena pigmenti crudi in modo armonioso.
Il motivo per cui gli artisti medioevali non rappresentavano figure e scena come apparivano "realmente" è perché questo obiettivo era per loro irrilevante: l'importante era che ognuno dei personaggi principali potesse essere chiaramente identificato nella scena, in una posizione e una dimensione adeguate al suo ruolo e con colori che possedevano significati simbolici e tornavano a gloria del Signore.
Il Medioevo fu un periodo di notevoli innovazioni nella produzione del colore e nel contempo la pittura da attività funzionale al contesto religioso divenne un mestiere praticato da membri di corporazioni che soddisfavano le richieste della classe dei nobili e dei mercanti. Il mistero e la magia cedevano il passo a una mentalità pratica. Questa trasformazione travolse anche l'alchimia, che mantenne i simboli delle sue radici mistiche ma che divenne anche sistema di produzione.
William Blake